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La cenatio, con il suo ricco apparato decorativo parietale e pavimentale, fornisce senza dubbio le indicazioni più chiare sul progetto architettonico, decorativo e ideologico posto alla base dell’intervento edilizio promosso dal dominus, pienamente integrato nelle forme di vita e nelle manifestazioni tipiche della classe aristocratica tardoantica cui apparteneva e finalizzato ad esaltare il banchetto come momento centrale nelle pratiche aristocratiche.
Nella sua prima fase, databile agli inizi del V sec., la cenatio presentava una pavimentazione musiva simile a quella delle terme, mentre l’imponente ristrutturazione, consistente nella costruzione del divano per il banchetto e nella ripavimentazione, è collocabile intorno alla metà del secolo.
La cenatio esprime, tradotta in pietra, l’adesione culturale e ideologica del dominus al sistema sociale tardoantico, come emerge dalla concezione gerarchica della grande sala (m2 128,50), dall’articolazione su tre differenti livelli pavimentali, dalla accentuata verticalità in corrispondenza dello stibadium, dalla presenza di percorsi cerimoniali sottolineati dai tre ingressi, uno centrale, ‘ufficiale’, sormontato da un grande arco in mattoni, ad uso del proprietario e dei suoi ospiti, e due laterali, minori e di servizio, verosimilmente utilizzati dagli inservienti. Il ricco apparato decorativo, l’evidente ricerca di effetti scenografici dal forte impatto, lo spiccato gioco cromatico dei rivestimenti, la studiata collocazione degli elementi d’arredo e la definizione di percorsi e spazi riservati a varie funzioni e a diversi frequentatori, e, non ultima, l’integrazione tra la struttura architettonica e il paesaggio circostante, fanno della cenatio di Faragola uno dei migliori e più eloquenti documenti materiali del ruolo svolto nelle ricche dimore dai riti conviviali nel quadro dell’ideologia aristocratica tardoantica..
Le esigenze sociali e di rappresentanza del dominus sembrano ‘modellare’ non solo l’organizzazione architettonica ma anche l’apparato decorativo: se i raffinati rivestimenti dello stibadium sottolineano l’importanza di questo dispositivo quale elemento di maggior spicco all’interno della sala da pranzo, la studiata collocazione dei pannelli in opus sectile vitreo e marmoreo, inseriti quali emblemata sull’asse centrale dell’ambiente, è strettamente legata al punto di vista dei commensali sistemati sul letto semicircolare. Il pavimento, composto da lastre marmoree prevalentemente di reimpiego (forse recuperate dai vani abbandonati delle villa precedente), è organizzato in maniera da suggerire la specializzazione dei vari spazi della cenatio, con una maggiore regolarità nella porzione centrale ed una significativa assenza di decorazione nel settore prossimo all’ingresso, dove la presenza di lastre in marmo bianco sembra legata alla necessità di uno spazio destinato ad accogliere giochi e spettacoli ben visibili dalla posizione frontale degli ospiti. La posizione differente dei due tappeti quadrangolari con specchiature in giallo antico e pavonazzetto inquadrate da cornici in serpentino, collocati specularmente ai lati dello stibadium, oltre a sottolineare l’accesso al settore più importante della sala, sembra indicare un preciso percorso all’interno della sala in relazione al complesso cerimoniale tardoantico.
Completano il quadro complesso decorativo originale e ricercato anche nella qualità redazionale i pannelli in opus sectile vitreo e marmoreo, estremamente rari e attestati solo in edifici particolarmente lussuosi.
La sala da pranzo doveva avere, mediante grandi aperture sui lati lunghi con l’utilizzo di colonne o di pilastri, un contatto visivo diretto con il paesaggio circostante, evidenziando una volontà di ‘sfondare’ le pareti e di fare della cenatio una sorta di lussuoso gazebo per banchetti in campagna. Efficaci dovevano essere i giochi di luce naturale (in particolare al tramonto, quando il sole calante inondava di luce lo stibadium) e artificiale, come dimostra il ritrovamento di lampade vitree.
Altro elemento caratterizzante era l’acqua. La parte centrale della sala da pranzo, posta ad una quota più bassa rispetto alle ali laterali e chiusa su tutti i lati, si ricopriva di un velo di acqua, trasformandosi in una sorta di laghetto artificiale, grazie ad un effetto assai scenografico: una cascatella che sgorgava dallo stesso stibadium, la cui vasca sottostante la mensa marmorea si riempiva d’acqua per mezzo di un complesso sistema di adduzione. In tal modo l’acqua corrente non solo rinfrescava l’ambiente nelle calde giornate estive, ma enfatizzava anche l’effetto cromatico dei pannelli in opus sectile e delle lastre marmoree, rendendo lo spazio assai scenografico. L’acqua fuoriusciva dal vano, trasformato in una sorta di ninfeo, verso l’esterno tramite un pozzetto di scarico nel pavimento e un canale di scolo in muratura, probabilmente a vista, che attraversava il portico dirigendosi verso valle, dando vita a una sorta di ‘ruscello’, e confluiva in un pozzo. Si tratta di espedienti di un uso ‘architettonico’ dell’acqua proprio di tali strutture per banchetto, come nei celebri casi del ninfeo imperiale di Punta Epitaffio a Baia, o delle note descrizioni dello stibadium della villa di Plinio e della cenatiuncula della villa di Avitacum di Sidonio Apollinare, o, ancora, del monumentale stibadium del Canopo di villa Adriana a Tivoli, in particolare del giardino-cenatio, il cosiddetto ‘ninfeo-stadio’, o della cenatio della villa spagnola di El Ruedo, della “fontana” Utere Felix di Cartagine, o, infine, della villa del Casale di Piazza Armerina.
In particolare in quest’ultimo caso si riscontrano alcune interessanti analogie, nonostante le evidenti diversità planimetriche, dimensionali e strutturali, tra la cenatio di Faragola e il cd. portico ovoidale-xystus antistante la sala tricora, un complesso ora assegnato, in maniera convincente, ad una fase costruttiva collocabile tra tardo IV e V secolo. In particolare gli scavi recenti hanno dimostrato che lo spazio centrale, scoperto e delimitato da muretti, e pavimentato significativamente con un mosaico con un motivo ad onda, era destinato ad essere coperto dall’acqua. Giustamente si è pensato, in analogia con il caso di Faragola, che, in occasione dei banchetti organizzati nella sala triabsidata, questo ‘laghetto’ realizzato al centro del portico ovoidale potesse garantire refrigerio e giochi di luce e riflessi. Gli ospiti dovevano, dunque, godere uno spettacolo davvero straordinario, con effetti scenografici molto simili a quelli descritti da Sidonio Apollinare grazie alla visione del lago dalla cenatio estiva della sua villa. Non si può escludere, inoltre, che lo stesso portico ovoidale fungesse da cenatio estiva, grazie alla possibile sistemazione di uno stibadium in legno all’interno dell’abside, in particolari occasioni di banchetti riservati ad un numero più ristretto e selezionato di convitati, ai quali, grazie ad un complesso sistema di rubinetterie, pompe, tubature e fontane, era riservato uno spettacolo molto suggestivo, simile a quello prodotto da un banchetto allestito al bordo di un laghetto.
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